poetaTaranto e i gabbiani- foto di Costantino Liaci

Costantino Liaci, poeta tarantino, racconta le ferite di una città che rivendica la sua storia e il dolore di chi respira la sofferenza

Graffiante, incisivo, ma intriso d’amore, il verso di Costantino Liaci, coglie l’essenza del dolore di una città troppo a lungo dimenticata, in cui la bellezza si fonde con il degrado. Una città in cui l’abbandono della politica é scritto su quelle mura che raccontano il passato. Taranto é lì, con le sue piaghe, nei versi di un poeta che sa parlare degli ultimi, dei dimenticati, di quel popolo che chiede solo di vivere.

costantino1 Un poeta che racconta la sofferenza
Le immagini che parlano- foto di Costantino Liaci

Costantino Liaci

Una personalità singolare, quella di Liaci, che, dopo un percorso di studi in cui la Politica svolge un ruolo dominante, cozza con una realtà che non accetta, che lo sconvolge, radicando in lui quella rabbia sociale che lo porta a denunciare i soprusi, le ingiustizie sociali e quel sistema corruttivo che é il cancro della nostra società.

Laureato in Scienze Politiche, per anni svolge attività di direttore di filiale in Istituti di Credito, ma non smette mai di coltivare le su innate passioni: la scrittura e la lettura. Passioni che vive in una luce nuova, affatto diversa, lontana da quelle retoriche e da quei toni melensi che caratterizzano tanta produzione poetica.

La sua formazione politica e il suo innato spirito d’osservazione lo portano a collaborare con successo con diverse testate giornalistiche di un certo rilievo, ma la poesia é la sua voce. Il suo grido strozzato che illumina il lettore, che squarcia il muro del silenzio e dell’indifferenza, rivelando l’amara realtà.

Da poeta vince numerosi premi letterari e pubblica diversi libri che racchiudono i suoi versi. Ma in lui é sempre presente quell’ansia di rivelare, di denunciare l’ingiustizia. E lo fa anche con la fotografia, cogliendo con scatti repentini gli angoli più bui. Quelli che abitualmente non si debbono rivelare.

costantino3 Un poeta che racconta la sofferenza
Costantino Liaci

La verità, in tutta la sua crudezza, in tutta la sua ingombrante crudeltà diviene così protagonista delle sue opere, ma anche della sua attività artistica.

La Compagnia Poetica Itinerante Tarantina

Fonda, unitamente a Gianfranco Guarino, la Compagnia Poetica Itinerante Tarantina. Unico obiettivo : fare del bene. Un intento nobile che si concretizza nella raccolta fondi in favore dei tanti bambini, privati della loro infanzia, che giacciono nei centri oncologici degli ospedali di Taranto, ma anche delle tante vittime di una fabbrica che uccide.

E’ il successo. Con questa sorta di Reading performativo, in cui si fondono lettura, racconto e musica il racconto si fa vita, quotidianità.

Briciole di vita e squarci di quotidianità

Tutto si racchiude e si esprime in versi in questo poeta che grida con voce strozzata gli echi di un passato che non può essere cancellato, così come la vita.

Una vita che si consuma nel grigiore, nella nebbia dell’indifferenza, e anche il mare lambisce quella terra, un tempo approdo, oggi sabbia che si dissolve nel vento.

L’Isola di polvere‘ , di Costantino Liaci

C’è un’isola di polvere dove le sillabe si fanno sabbia
parole addormentate che il vento incide sulle rocce
quali epitaffi di naufragi e indifferenze.

Affacciate sul mare – quel mare che dissolve i confini –
la pioggia raccoglie tutte le reti fracide
e le stende al sole in un rituale di lutto.

È una terra di passaggio senza passi né bagagli,
sotto un cielo d’acciaio che non finge paradisi
e non concede ribellioni.


Qui giacciono chiglie capovolte – gusci di tartarughe estinte –
il legno marcio canta l’epopea dei marinai
che sfidarono correnti di cui non resta traccia
se non nei nodi dei cannizzi – nei calchi delle cozze.


Luccicano tra i fondali consonanti arrugginite
vocali sedimentate dalle basse maree.
I pescatori le raccolgono per comporre preghiere
il vento trasforma gli amen in sibili d’allarme.


Ogni strato di polvere è un secolo compresso:
frammenti di anfore greche
chiodi di triremi africani
schegge di bastimenti aragonesi.
La storia qui non si studia – si respira.

Spiegate, relitti parlanti, dove finiscono le domande
che affondano negli agrumi?
Forse germogliano sott’acqua come alghe tossiche,
o diventano meduse trasparenti – verità non digerite.


Eppure nell’ombra protetta dai ponti
dove piangono famiglie dissolte dal sale

un cespuglio di cappero
squarcia lastra di cemento
con fiori viola che assomigliano ai nostri occhi

spalancati per squarciare il buio.

Presentazione critica a cura di Irma Saracino