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Tra gli olivi del Salento e i profumi della storia, la Masseria di Torre Pinta racconta un passato ancora per certi versi enigmatico.

Baciata dal caldo sole del #Salento, circondata dal verde degli olivi, la Masseria di Torre Pinta ci accoglie nel suo grembo e ci culla raccontandoci antiche leggende e storie ancora scritte su  quelle vestigia di un tempo difficile da decifrare e tutto da scoprire.

Leggende che ammantano di mistero quel luogo così ben curato da Maria Giovanna, proprietaria di un patrimonio archeologico fuori del comune, ma anche ospite squisita. E l’atmosfera così pregna di calda accoglienza si colora, prende vita e ci parla di un passato ancora vivo, palpabile.

Gli enigmi, la storia

Mi piacerebbe poter pronunciare quel c’era una volta che abitualmente introduce una narrazione avvolta di fiaba, nel parlare di questa sito, oggi agriturismo, sapientemente gestito dalla sua proprietaria, perché in effetti il confronto con quegli insediamenti rupestri che affollano l’ingresso in questo complesso, postumo, sussurrano antiche voci. E i bisbigli del passato sembrano colmare il silenzio che li avvolge.

Tutto è pace, tutto è colmo di odori che raggiungono i sensi e colmano i vuoti di una quotidianità spesso troppo convulsa. Tutto è gioia e la vita pulsa tra i fiori , tra il verde di una vegetazione incontaminata.

Il cinguettio degli uccelli ci accompagna, mentre il calore dell’ospitalità salentina trova in Maria Giovanna la sua espressione.

Il racconto

Perché questo nome? Masseria di Torre Pinta?‘chiedo a Maria Giovanna, mossa da una curiosità che trova riscontro nelle sue parole.

Dal nome del condottiero che difese questo luogo dall’invasione turca’, mi risponde indicandomi la vicina #torre che domina la scena di questo paradiso.

E intanto mi perdo nell’ascoltare da lei il racconto di un passato che si traduce poi in nuove scoperte.

Con prontezza e immediatezza infatti chiede a un suo collaboratore di accompagnarci in un luogo che, come lei stessa ci riferisce’ Risale a 2000 anni prima di Cristo’.

La curiosità così aumenta, mentre ci avviciniamo a questo #ipogeo perso nel tempo e ancora oscuro per certi versi.

L’ipogeo

Dopo essere scesi da gradini impervi, giungiamo in basso e il mistero ci accoglie, mentre subentra la percezione di trovarci di fronte a un luogo che esige il silenzio.

Un corridoio lunghissimo, scavato nella roccia, ci accoglie infatti e, chinandoci, percorriamo tutti i suoi 33 metri fino a quella luce che quasi rappresenta la soglia d una scoperta. Probabilmente un approdo in tempi passati.

 Giunta a quell’approdo, ho netta la sensazione di essere nella leggenda che tante volte avvolge e dà colore alla storia.

Capisco di trovarmi in un’area sacra dalla struttura quasi absidale delle tra nicchie tagliate da una sorta di transetto che dà forma di croce latina all’intera struttura, ma dai sedili in pietra che ho scorto lungo il corridoio mi rendo conto che la sacralità del luogo molto verosimilmente risale a epoca antecedente a quella paleocristiana. Quasi certamente messapica. Un’età in cui la religiosità si confondeva spesso con una sorta di iniziazione misterica.

Forse un’ipotesi azzardata, ma suffragata dalla forma circolare della volta, oggi irrorata dal verde di un olivo, ma probabilmente, in passato, un occhio aperto sul cielo. Un osservatorio?

Intanto la luce, che filtra attraverso quei rami, inonda e colora di magia anche le tantissime nicchie che testimoniano l’uso successivo di questo luogo.

E, ancora una volta, Maria Giovanna chiarisce ogni dubbio una volta usciti.

L’ipogeo fu adibito a colombaia, in età borbonica’ ci dice con quell’orgoglio che accompagna le sue parole. E stando alle necessità dell’epoca, quasi certamente doveva trattarsi di un centro di smistamento di piccioni viaggiatori.

I saluti, le promesse

Ci avviamo verso il ristorante e, un po’ rapita dall’entusiasmo di una nuova scoperta, assaporo i cibi deliziosi che la nostra Giovanna ci fa gustare. Riscopro i sapori del #Salento e godo dei momenti di convivialità che sa di vero, di genuinità.

Poi, i saluti e le promesse di rivederci. E, mentre ci allontaniamo, mi volto a guardare quegli olivi silenziosi, quei fiori dai mille colori, l’acqua della piscina che brilla di mille riflessi sotto i raggi del sole e ripercorro i momenti di quella giornata.  Chiusa nella certezza di aver trovato uno scrigno prezioso di storia, ma anche di fiaba, di leggenda, di mistero.

Consapevole che il tempo non esiste perché il suo linguaggio sa essere eterno. Basta solo fermarsi a leggerlo.

#IrmaSaracino