Camille

Genio, passione, solitudine, miseria e follia nella vita della scultrice francese Camille Claudel. contrassegnata dal burrascoso rapporto amoroso con il suo maestro, il grande Auguste Rodin.

Camille Claudel (1864-1943), secondogenita di famiglia benestante, già all’età di sei anni comincia a modellare la creta. Sin dall’adolescenza si appassiona alla #scultura e, costantemente sostenuta dal #padre, riesce ad affrontare l’opposizione di sua madre che invece nutre un’avversione violenta verso quest’arte.

Presto instaura con il fratello minore Paul, poeta e scrittore anch’egli precocissimo nella sua arte, un legame speciale. Entrambi sono ostinati nel dedicare il loro tempo libero, le vacanze e gran parte dei loro sogni alle rispettive passioni.

A fronte di una madre ostile e delusa, Camille si rivolge al #padre, col quale stabilisce un rapporto di complicità e idealizzazione.

Ma questo “trionfo edipico” le toglie proprio la possibilità di una identificazione femminile. E ciò la porta a strutturare una personalità vigorosa e virile con cui affronta la sua #scultura.

L’incontro con Rodin

L’incontro con il grande scultore Auguste Rodin cambia completamente la sua vita. Lui è il suo maestro quarantunenne all’Accademia Colarossi di Parigi, lei l’allieva diciannovenne.

Rodin Camille  Claudel, un amore sublimato in follia
Rodin

Auguste trova in Camille la sua musa, la modella e l’artista piena di qualità, Camille trova in Auguste un padre, l’elaborazione della rottura con la madre, ma soprattutto la sua sessualità.

Ma il disagio che lei prova nel dover condividere il suo amore con un’altra donna, Rose, la compagna di Auguste, mette in crisi il rapporto.

Camille non ha più la forza di proseguire una relazione senza futuro. Nel momento che capisce che Auguste non lascerà mai la sua rivale vede crollare l’illusione di una unione stabile e la speranza di veder riscattati tanti anni di compromessi, ansie e tristezze.

Ansia e #follia

La sua personalità ha una natura che attira per la sua grazia, ma respinge per il temperamento selvaggio e nei suoi lavori Camille esprime tutto il suo disagio esistenziale.

Lei stessa scrive in una lettera a Rodin “C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta”. Nella “Valse”, infatti, l’opera che più delle altre rappresenta la sua maturità artistica, la brevità dell’amore e del piacere si concretizzano in una tragica spirale di danza e di morte.

In altre sculture esprime la sua sessualità dando vita ad un kamasutra artistico ispirato al famoso poema indiano, rielaborato tra il IV ed il V secolo a.c. dal poeta Kalidasa.

Ma il suo capolavoro è “L’Age Mur” (l’età matura), espressione dell’angoscia di abbandono.

Nella giovane donna in ginocchio, con le braccia protese, si può identificare Camille. Nell’uomo anziano, di spalle, Auguste, trascinato da una donna anziana, Rose, o forse più semplicemente la morte.

Secondo l’interpretazione dello psicanalista Luca Trabucco l’angoscia di abbandono non è nei confronti di Rodin ma un abbandono, dal punto di vista psichico, subìto durante l’infanzia.

Presto si aggravano i segni di un disordine mentale già palesatisi nel 1896. Camille comincia a soffrire di manie di persecuzione e nel processo di annientamento di se stessa arriva anche a distruggere le sue opere.

Il ricovero

La devastante situazione sentimentale ed un rapporto burrascoso con la famiglia la conducono nel 1913, appena una settimana dopo la morte del padre, al ricovero in manicomio a Montfavet.

Tuttavia i medici curanti non ritengono che per la sua patologia sia necessario un ricovero, ma la madre ed il fratello riescono ad ottenere un internamento definitivo. Nei trent’anni di isolamento nessun familiare né Auguste andranno mai a trovarla. Né avrebbe più disegnato e modellato.

In una lettera al suo medico scrive: “Mi si rimprovera un crimine orribile, di aver vissuto da sola, di avere dei gatti in casa, di soffrire di manie di persecuzione”.

Muore il 19 ottobre del 1943, all’età di 78 anni, per “ictus”. Viene seppellita nel cimitero di Montfavet, accompagnata solamente dal personale dell’ospedale.

Né la sua famiglia, né Paul si presentano. I suoi resti vengono poi trasferiti in una fossa comune, il suo corpo non viene mai più reclamato dai parenti.

Il suo valore artistico e il contributo dato all’arte del Maestro Gogin aspettano ancora di essere pienamente considerati.

#BrunoMatacchieri

Di Bruno Matacchieri

medico psichiatra, scrittore, esperto di opera lirica