• Lun. Apr 29th, 2024

Rossini, genio e ‘bon vivant’

Rossini

Tra musica, cucina e follia Rossini, il Cigno di Pesaro, ci rivela ancora oggi il suo grande genio.

Tutti conosciamo Gioacchino Rossini per la sua grande #musica, pochi per la sua prelibata #cucina.

Nato a Pesaro il 29 febbraio del 1792, si dice che da bambino facesse il chierichetto per poter bere le poche gocce di vino rimaste nelle ampollette dell’altare.

A quattordici anni scrisse la sua prima #opera “Demetrio e Polibio” e la sua vita partì proprio come i sui celeberrimi “crescendo musicali”. A vent’anni aveva scritto quattro opere e nei successivi vent’anni ne compose circa quaranta, talvolta anche 4-5 in uno stesso anno.

“Datemi il conto della lavandaia e vi metto in musica anche quello” fu una delle sue frasi famose. Non furono sempre successi ma anche insuccessi come quello clamoroso della prima del “Barbiere di Siviglia”, nel 1816 al teatro Argentina di Roma.

In quella occasione, a determinare i tafferugli in teatro, furono soprattutto i sostenitori di Paisiello che volevano sminuire la nuova versione di un’opera già scritta dal maestro tarantino con lo stesso titolo. In realtà al primo fiasco seguì una serie di successi che portarono quest’opera ad essere ritenuta, senza ombra di dubbio, il suo capolavoro assoluto.

Il Barbiere di Siviglia

Il protagonista è il barbiere Figaro, personaggio egocentrico, logorroico e iperattivo, capace di organizzare, pianificare e consigliare, ma anche capace di ingannare e pettegolare per poter raggiungere il suo scopo.

 In questo personaggio possiamo riconoscere facilmente la personalità maniacale di Rossini. E’ come se lui, nelle vesti di Figaro, si sia voluto presentare al pubblico in tutte le sue caratteristiche personologiche.

Rossini e il cibo

Alla sua iperattività nella produzione musicale si affiancò anche uno sviscerato amore per la bella vita, le belle donne e la buona tavola. “L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore”. Cibi come il Gorgonzola ed il Panettone non potevano mai mancare dalla sua tavola, ma anche zamponi e tartufi.

Riuscì ad esprimere il suo talento e creatività con ricette proprie: le “Uova alla Rossini”, gli “Spaghetti alla Scala” i “Tournedos” ed i famosi “Maccheroni alla Rossini”, per citarne solo alcune.

Lui stesso dichiarò di aver pianto solo tre volte nella sua vita, dopo i fischi indirizzati alla sua prima opera, dopo aver ascoltato il violino di Paganini e dopo la caduta in acqua di un tacchino farcito con tartufi, mentre era in barca per una gita sul Lago di Como.

Rossini era molto esigente dal punto di vista gastronomico. Sapeva come abbinare perfettamente i vini ad ogni piatto e chiedeva spesso di conoscere i cuochi più famosi del suo tempo. “Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni”.

Ma la sua vita, dopo i primi quarant’anni trascorsi in uno stato di piacevole eccitamento, prese una svolta depressiva.

Gli anni bui della depressione

Nel 1829 Rossini viveva ormai a Parigi, nella sua villa di Passy, quando compose il “Guglielmo Tell” la sua ultima opera. L’ultimo canto del Cigno di Pesaro.

Fervente assertore del Classicismo, in quest’ultima opera invece si abbandonò all’estetica romantica: il soggetto patriottico rappresentato dalla lotta per l’indipendenza degli Svizzeri dagli Asburgo nel XVIII secolo.

L’inserimento nell’organico orchestrale di richiami folcloristici svizzeri, e la grande importanza del coro, presente in gran parte dell’opera, sono tutti elementi romantici, insoliti per il suo stile. L’opera, con l’esaltazione della forza trascinante dei sentimenti e con l’identificazione nei personaggi, apriva la porta al nuovo stile artistico che sarebbe stato padrone assoluto per tutto l’ottocento: il Romanticismo. Come se il pesarese abbia voluto dimostrare al suo pubblico che le sue capacità compositive si sarebbero potute distinguere anche nel nascente nuovo stile artistico.  

Uscito di scena dal teatro lirico, si ritirò a vita privata e abbandonò tutta la mondanità che era solito frequentare. Da un umore maniacale della prima fase della vita era passato ad un umore depresso, caratterizzato da ritiro sociale, ipocondria, e crisi creativa.

La depressione, di cui era affetto, si ripercosse anche sulla sua produzione musicale. Compose in quel periodo solo musica sacra e cantate. Il genio assoluto della musica lirica sembrava spento, la sua personalità bipolare non gli consentiva più di comporre musica se non per sé e per i pochi amici rimasti.

Lui stesso definì autoironicamente queste sue ultime composizioni “semplici senili debolezze”. Il 13 novembre del 1868, dopo una lunga lotta contro il cancro, morì nella sua villa di Parigi.

” Mangiare, amare, cantare e dirigere sono i quattro atti di quell’opera comica che é la vita”

#BrunoMatacchieri

Di Bruno Matacchieri

medico psichiatra, scrittore, esperto di opera lirica