Artemisia

In un mondo tutto al maschile Artemisia Gentileschi seppe riscattare la sua identità di donna e di artista

Vissuta in uno dei secoli più cupi del nostro passato, quale il ‘600, Artemisia Gentileschi seppe imporre la sua #Arte e il suo talento, divenendo una delle espressioni più significative del nostro patrimonio artistico. E, ancora oggi, la sua rabbia di donna calpestata, svilita, dà luce e colore alla rabbia di tante altre che, ancora, sono vittime di una mentalità sessista.

artemisia1 Artemisia, il volto rivoluzionario dell'Arte
Artemisia, autoritratto

La Roma del ‘600

In una Roma dominata dal potere coercitivo del Papato, al di là dei fasti e delle coreografie propagandistiche, non c’era spazio per la donna nel mondo dell’Arte. E non solo in esso.

I ruoli sociali, le consuetudini di vita e, soprattutto, le identità di genere erano infatti stigmatizzate da una certa etica socio-culturale che non consentiva ventate innovative. E, l’Arte, monopolio atavicamente maschile, era la roccaforte, il regno inespugnabile del maschio. Sia nella produzione letteraria, che in quella delle arti figurative.

Eppure, quando nel 1593, Artemisia spalancò i suoi occhi su quel mondo fatto di immagini e false retoriche, unica figlia femmina in una prolifica famiglia di uomini, qualcosa cambiò.

Il suo talento artistico precoce, il suo amore sviscerato per la pittura, che maturò osservando la valida produzione artistica del padre Orazio, rappresentarono da subito un valore aggiunto. Qualcosa di insopprimibile e di assolutamente nuovo!

La sua prima formazione

Rimasta orfana di madre in tenera età, crebbe all’ombra di questo padre artista che volle assecondare il talento della figlia. Artemisia da lui apprese così i primi rudimenti della pittura dell’epoca, evidenziando da subito un proprio tratto originale e deciso. ma questo le costò un caro prezzo!

Per completare la sua formazione infatti il padre scelse come suo maestro di prospettiva Agostino Tassi, Un artista abbastanza quotato all’epoca, ma decisamente troppo attratto dalle grazie muliebri.

Cominciò per la giovane un periodo terribile. Artemisia, appena 18enne, rifiutò ripetutamente le avances del Tassi, ma l’uomo, seguendo un copione ben noto anche alle cronache attuali, volle possederla ad ogni costo.

Lo stupro

«Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, avendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne» ( Artemisia Gentileschi)

Il racconto fatto dalla stessa Artemisia, come si può rilevare, é estremamente crudo ed esprime appieno la #rabbia della giovane per la #violenza subita.

Una rabbia che, successivamente esprimerà nei suoi dipinti, così vicini allo spirito di Caravaggio, eppure così lontani. Perché il tratto della Gentileschi, malgrado le affinità col grande Merisi, ha una sua identità, un suo spessore.

La relazione, l’inganno, il processo

Poi l’inganno che seguì da parte del Tassi, la denuncia contro di lui e il processo fanno parte della vita di questa donna straordinaria, che affrontò anche la tortura in nome di una giustizia che fu fallimentare.

Tassi fu condannato, ma la pena da lui scelta non fu mai eseguita.

L’allontanamento da Roma

Artemisia affrontò le conseguenze di questo processo con estremo coraggio, poi cedette e si allontanò da Roma. Approdò a Firenze e, qui, godette, grazie all’apporto dei Medici, di una rilevante fama.

A Firenze visse da sposa e madre di 4 figli, privilegiando però il suo amore per la pittura che la portò a compiere una serie di viaggi, a seguito di una fama raggiunta a un prezzo tanto alto.

Solo nell’estate del 1630 approdò a Napoli, città della cultura internazionale, dove si confrontò con i più grandi artisti dell’epoca. Qui trascorse il resto dei suoi anni fino alla sua morte, nel 1654.

La rabbia e l’orgoglio di essere donna

Nella sua pittura privilegiò temi biblici, dando ad essi un’impronta personale e, pur mutuando da Caravaggio quel realismo che rappresenterà l’elemento contraddistintivo di questo genio, seppe esprimere tutta la sua #rabbia di artista prima, di donna poi.

Tenace, determinata, caparbia, Artemisia, ancora oggi, é un esempio per tutte noi. Semplicemente vive, semplicemente vere, desiderose di esserci in questa società che discrimina e non solo paghe di esistere.

Noi dunque, come lei, con l’orgoglio di essere donne.

#IrmaSaracino